Recensione #62: Ninfa dormiente di Ilaria Tuti
Autore: Ilaria
Tuti
Titolo: Ninfa
dormiente
Editore: Longanesi
Data di
pubblicazione: 27 maggio 2019
Pagine 478
"Li
chiamano «cold case» e sono gli unici di cui posso occuparmi ormai. Casi
freddi, come il vento che spira tra queste valli, come il ghiaccio che lambisce
le cime delle montagne. Violenze sepolte dal tempo e che d'improvviso
riaffiorano, con la crudele perentorietà di un enigma. Ma ciò che ho di fronte
è qualcosa di più cupo e più complicato di quanto mi aspettavo. Il male ha
tracciato un disegno e a me non resta che analizzarlo minuziosamente e seguire
le tracce, nelle valli più profonde, nel folto del bosco che rinasce a
primavera. Dovrò arrivare fin dove gli indizi mi porteranno. E fin dove le
forze della mia mente mi sorreggeranno. Mi chiamo Teresa Battaglia e sono un
commissario di polizia specializzato in profiling. Ogni giorno cammino sopra
l'inferno, ogni giorno l'inferno mi abita e mi divora. Perché c'è qualcosa che,
poco a poco, mi sta consumando come fuoco. Il mio lavoro, la mia squadra sono
tutto per me. Perderli sarebbe come se mi venisse strappato il cuore dal petto.
Eppure, questa potrebbe essere l'ultima indagine che svolgerò. E, per la prima
volta nella mia vita, ho paura di non poter salvare nessuno, nemmeno me
stessa".
e anche più... |
Parlare di un
thriller non è cosa semplice, rischi sempre di fare spoiler. Quindi ho deciso
di raccontarvi le emozioni che ho provato durante la lettura.
Ninfa dormiente è il secondo volume che ha come protagonista
Teresa Battaglia e la sua squadra. È però autoconclusivo e lo si può leggere
anche senza aver letto in precedenza Fiori
sopra l’inferno. Le due storie non sono legate; sono presenti gli stessi
protagonisti, ma nel corso del romanzo vengono presentati e dettagliati, tanto
da non perdere nulla delle emozioni della storia. Certo, aver letto il volume
precedente ci fa sentire più vicini i tormenti di Teresa e di Massimo e questa
nuova vicenda aggiunge un tassello alla loro storia.
Teresa Battaglia non è un commissario come gli altri, è
giunta ormai al termine della carriera, è una donna determinata, caparbia,
meticolosa, ma soprattutto è malata. Sa bene di essere ormai al temine del suo
“lavoro”. La malattia inizia a compromettere la sua lucidità, ma è anche la
stessa malattia che la rende una poliziotta migliore. Sì perché, non potendo
più fare affidamento sulla sua memoria, Teresa ha affinato tutti i suoi sensi,
soprattutto il suo sesto senso, quello che è frutto dell’intuito e delle
sensazioni profonde, quello che risiede nel nostro intimo. Teresa ha imparato a
parlare con se stessa e lo fa attraverso un diario cui affida la propria
memoria, le proprie intuizioni e le proprie deduzioni. La malattia l’ha resa
più metodica. Riesce a vedere cose che agli altri sfuggono. Forse per questo è
l’unica che riesce a capire Massimo
Marini, l’ispettore che la affianca, l’uomo che è arrivato alla sua squadra
perché fugge dal proprio passato. Marini nasconde un segreto e solo Teresa può
capirlo. Teresa e Massimo sono una
coppia di investigatori fuori dal comune. Lavorano di osservazione,
deduzione e sensazione. Riescono ad entrare in empatia con l’assassino. Quasi
ne riescono a comprendere le motivazioni.
In questo loro lavoro
sono aiutati da validi elementi, come Parisi e De Carli. Due poliziotti pronti
a seguire il loro capo. Teresa, Marini, Parisi e De Carli sono una vera
squadra. Si capiscono, si sostengono, fanno quadrato... sono affiatati. Hanno
l’uno fiducia nell’altro, perché sanno di appartenere a una squadra, che è un
cerchio di fiducia. Fondano il loro rapporto su valori veri e profondi.
Era il loro cerchio:
un cerchio di fiducia, di onore, di valore che non potevano essere spiegati se
non con il concetto di «appartenenza».
Oltre alla squadra di
Teresa c’è poi una rete di persone di fiducia, che vanno dal questore al medico
legale, anche se questa volta è presente un vicario del questore che cercherà
in ogni modo di mettere in difficoltà Teresa, un vicario che ho odiato
visceralmente dalla prima all’ultima pagina di questo romanzo. L’ho mal
digerito talmente tanto che, quando Teresa riesce a zittirlo, sul libro ho
appuntato “Tiè, beccati questo, Lona!”. Ho gioito...
Anche in questa
avventura realtà, storia e finzione si fondono, si mescolano ed esce fuori un
romanzo sublime. Un thriller capace di tenerti con il fiato sospeso fino
all’ultimo istante e che termina con una soddisfazione. Termini la lettura e ti senti soddisfatto, felice.
Sono rimasta
incollata alle pagine di questo libro, spesso ho dovuto impormi di interrompere
la lettura. Mi dispiaceva lasciare Teresa. C’è anche da dire che la storia
coinvolgente è aiutata da uno stile narrativo che sa tenerti avvinghiato alle
pagine. La Tuti racconta la storia con capitoli brevi, capaci di focalizzare
l’attenzione su un aspetto. Ci sono le riflessioni di Teresa sul suo diario, i
tormenti di Massimo, le ricerche e gli indizi. Il tutto con un ritmo che sa
dosare momenti di pausa con fervente attività ed intervallati con pagine del
passato. In questo caso poi ci sono riferimenti anche alla tradizione, alla
religiosità e al misticismo. Un romanzo che parla di sistemi matriarcali e del
valore della maternità, sull’importanza della memoria, non solo quella fisica
del ricordarsi le cose, ma la memoria storica e la memoria atavica.
So che Teresa è
arrivata al termine della propria carriera, ha ormai sessant’anni, è malata, è
appesantita e più lenta nei movimenti, ma è un vero segugio e spero proprio che
la Tuti continui a scrivere di questa donna speciale.
Amanti del thriller,
dei romanzi che sanno farti entrare nella mente dell’assassino, questo romanzo
fa per voi. Consigliatissimo (lo so, non esiste come parola, ma rende l’idea).
Wow, che bel commento! Non l'ho ancora letto questo romanzo, e spero di poterlo leggere anche io il prima possibile ☺️☺️
RispondiEliminaè bellissimo… merita proprio
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