Recensione #74: Il cacciatore di tarante di Martin Rua
Autore: Martin Rua
Titolo: Il cacciatore di tarante
Editore: Rizzoli
Data di pubblicazione: 7 luglio 2020
Pagine: 368
1870. L'Italia è appena stata fatta, ma per
fare gli Italiani la strada è ancora lunga. Giovanni Dell'Olmo, ispettore di
pubblica sicurezza a Torino, e il duca Carlo Caracciolo de Sangro, brillante
medico a Napoli, incarnano alla perfezione gli stereotipi del Regno: il Nord
sabaudo freddo e rigoroso e il Sud borbonico godereccio e superstizioso. Ma i
due hanno qualcosa in comune, perché nel loro campo sono i migliori, e questo
rende entrambi degli outsider, malvisti da colleghi e sottoposti. Le loro strade
s'incrociano quando Giovanni, sulle tracce di un assassino noto come
l'Imbalsamatore, viene spedito nel tanto disprezzato Mezzogiorno del Regno per
una missione: ironia della sorte, il Ministero gli affianca proprio un
napoletano, il dottor Caracciolo de Sangro, esperto tossicologo e grande
conoscitore di ragni. Ad Ariadne, infatti, nel Salento più profondo e devoto al
santo Paolo, in pochi mesi la taranta sembra aver calato cinque donne, tutte
braccianti nei campi di una masseria, provocandone la morte. Ma i conti non
tornano e, mettendo da parte i pregiudizi, Carlo e Giovanni dovranno risolvere
il mistero di questi decessi sospetti, tra esplorazioni nei sotterranei del
paese e rocambolesche sparatorie, e affrontare ognuno la propria nemesi.
Il cacciatore di tarante è il nuovo thriller di
Martin Rua.
Naturalmente fare la
recensione di un thriller non è molto facile, pertanto cercherò di farmi capire
quanto più possibile senza fare spoiler.
Prima di tutto però,
vorrei parlare dello stile dell’autore.
Martin Rua mi piace
moltissimo, perché nei suoi romanzi c’è un’accuratezza storica non
indifferente, è preciso nelle descrizioni degli eventi, ma anche nelle
descrizioni delle abitudini, degli usi e dei costumi. In questo caso troviamo
un’attenta ricostruzione di come è nata la tradizione e la cultura della
taranta (o pizzica) del Salento. Non conoscevo questa tradizione e scoprirlo
attraverso le parole di Martin Rua è stato molto interessante.
C’è anche un altro
aspetto caratteristico nello stile dello scrittore: le parole utilizzate. Sono
parole che hanno il sapore dell’antico, sono parole ormai desuete, ma
permettono al lettore di calarsi perfettamente all’interno della situazione
storica. Non è un aspetto da sottovalutare, perché leggere questo romanzo
ambientato nel 1870 e sentire anche una fluidità linguistica antica ti permette
di gustare il sapore del passato. Naturalmente questa scelta stilistica aiuta a
immedesimarsi meglio e a vivere appieno le sensazioni che questo thriller ci
porta.
Leggendo questo
romanzo, ho fatto un vero e proprio tuffo nel passato, capendo anche come era
diversa la società e l’importanza che veniva data all’aristocrazia o ai
notabili del paese o comunque alle persone influenti, mentre erano trattati
diversamente i popolani e i braccianti.
Mi piace molto anche
come ha caratterizzato i due protagonisti. Il titolo del romanzo è il cacciatore di tarante, ma sarebbe
stato più opportuno dire i cacciatori
di tarante, perché effettivamente i protagonisti sono due, con due storie alle
loro spalle diverse e complesse. Il primo protagonista è l’ispettore Giovanni Dell’Olmo. L’ispettore è torinese, quindi dello
Stato Sabaudo, è un forte sostenitore dello stesso e ha tanti pregiudizi nei
confronti del sud e dei Borboni in generale. È un tipo determinato e molto preciso
nelle sue deduzioni; segue la logica del sillogismo, per cui le sue analisi
sono chiare affermazioni una conseguente all’altra; è sempre molto puntuale e
attento; la logica non è riservata solamente alla deduzione di chi sia il
colpevole, ma viene a essere coinvolta anche nell’osservazione della situazione
e delle persone intorno. Grazie ai suoi ragionamenti
per sillogismo, ha subito preso le misure con il maresciallo dei
carabinieri Colaci e la sua attenta analisi gli ha permesso di scoprire subito
di chi potersi fidare e di chi invece dubitare. L’altro protagonista è Carlo Caracciolo de Sangro, duca di Martina
Franca, un medico e professore che però ha alle spalle un passato
tormentato. Carlo deve fare i conti con quello che è successo trent’anni prima
proprio nel luoghi dove ora è chiamato a risolvere un misterioso caso, una
serie di morti quantomeno sospetta. È un uomo tormentato, ma al tempo stesso
brillante e curioso, è uno scienziato preciso e scrupoloso nelle sue analisi,
molto aperto anche a quelle che sono le ricerche degli altri vari professori.
Eppure è stretto nella tenaglia dei rimorsi, è ancorato a quei ricordi dolorosi
che gli procurano dei sensi di colpa, primo fra tutti quelli nei riguardi della
morte della madre, la duchessa Matilde.
La trama del thriller
è veramente tessuta bene, ti porta piano piano alla conoscenza del colpevole.
Oddio, a un certo punto un paio di dubbi mi erano venuti su chi potesse essere
il colpevole, però devo dire che è stato anche bravo Martin Rua a camuffare
questi indizi, in modo tale che il dubbio ti rimanga sempre fino alla fine.
Cos’altro posso dire?
Mi sono piaciuti molto i temi affrontati. Leggendo questo romanzo, si toccano
vari temi. Temi storici come l’Unità d’Italia e la difficoltà nel tessere
un’identità nazionale, non a caso il richiamo al Gattopardo è fortissimo, soprattutto quando viene detto, anche
all’interno di questo racconto, che tutte le cose per rimanere uguali devono
cambiare...
«È come le avevo detto
prima: qui la gente non vuole che le cose cambino. Anche quando ha imbracciato
i fucili per ribellarsi contro il tiranno di turno, poi se n’è sempre pentita,
perché non era pronta ai cambiamenti.»
«Pochi di noi sono
disposti ad accettarli, ma spesso risultano necessari proprio affinché le cose
restino come sono. Lei non è forse un esempio di questo? Il Regno d’Italia non
le ha tolto i suoi privilegi, mi pare.»
E poi c’è un altro
tema molto importante, che viene sottilmente portato avanti, quello del
pregiudizio, quello della paura del “diverso”, un tema quanto mai attuale. Una
delle citazioni che ho preferito in questo libro riguarda infatti proprio
questo aspetto... L’ispettore parte da Torino con tanti pregiudizi, ma piano
piano impara ad apprezzare il cibo del sud, il modo di fare degli abitanti del
sud, impara anche ad apprezzare il paesaggio, così diverso da quello delle sue
amate colline nel torinese. Molto spesso l’ispettore fa riferimento alle
colline del Monferrato con nostalgia, ma alla fine si trova ad apprezzare
moltissimo gli ulivi secolari e la piana che c’è intorno a Lecce.
Dell’Olmo aspirò una
boccata dalla pipa e poi lascio andare una nuvoletta di fumo. «Io invece ho
capito una cosa importante in questo mio breve soggiorno in Puglia, e cioè che
non importa davvero da quale strato sociale o da quale luogo geografico
provenga una persona: il bene o il male possono trovare terreno fertile
ovunque. Forse, pochi giorni fa, se non fossi stato mandato in missione qui,
lei mi avrebbe conquistato con il suo libro sulle razze, signor conte. Ora
invece le dico che provo ribrezzo per lei e per de Gobineau.»
Martin Rua non mi delude mai, avevo già letto e apprezzato
tanto una precedente trilogia di questo autore. Ne ero rimasta appassionata
proprio per le sue connessioni tra storia e attualità e in questa nuova
avventura sono rimasta affascinata dalla sua capacità di rendere un thriller
anche un bellissimo libro storico.
Assolutamente una
lettura da fare.
Ringrazio la casa
editrice per la copia cartacea del romanzo.
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