Recensione: Il buio oltre la siepe di Harper Lee

Autore: Harper Lee

Titolo: Il buio oltre la siepe

Editore: Feltrinelli

Data di pubblicazione: 5 dicembre 2019

Pagine: 352

In una sonnolenta cittadina del profondo Sud degli Stati Uniti l'avvocato Atticus Finch è incaricato della difesa d'ufficio di un afroamericano accusato di aver stuprato una ragazza bianca. Riuscirà a dimostrarne l'innocenza, ma l'uomo sarà ugualmente condannato a morte. Questo, in poche righe, l'episodio centrale di un romanzo che da quando è stato pubblicato, oltre cinquant'anni fa, non ha più smesso di appassionare non soltanto i lettori degli Stati Uniti, ma quelli di tutti i paesi del mondo dove è stato tradotto. Non si esagera dicendo che non c'è americano che non l'abbia letto da bambino o da adolescente e che non l'abbia consigliato a figli e nipoti. Eppure non è un libro per ragazzi, ma un affresco colorito e divertente della vita nel Sud ai tempi delle grandi piantagioni di cotone, dei braccianti neri che le coltivavano, delle cuoche di colore che allevavano i figli dei discendenti delle grandi famiglie dell'Ottocento, della white trash, i "bianchi poveri" abbrutiti e alcolizzati; e anche, purtroppo, delle sentenze sommarie di giurie razziste e degli ultimi linciaggi americani della storia. Quale il segreto della forza di questo libro? La sua voce narrante, che è quella della piccola Scout, la figlia di Atticus, una Huckleberry Finn in salopette (dire "in gonnella" sarebbe inesatto, perché Scout è una maschiaccia impertinente e odia vestirsi da donna) che, ora sola ora in compagnia del fratello maggiore e del loro amico più caro (ispirato all'autrice dal suo amico d'infanzia Truman Capote), ci racconta la storia di Maycomb, Alabama, della propria famiglia, delle pettegole signore della buona società che vorrebbero farla diventare una di loro, di bianchi e neri per lei tutti uguali, e della vana battaglia paterna per salvare la vita di un innocente.


In questo inizio anno mi sono dedicata alla lettura di un romanzo che era nella mia libreria da tanto tempo e che non avevo il coraggio di leggere. Figlio#1 continuava a dirmi che era un bel libro e anche sul web, specie nella community dei bookblogger avevo sempre sentito pareri positivi.

Ho verso questo romanzo sentimenti contrastanti.

Se da una parte ho apprezzato il messaggio che l’autrice voleva lanciare, devo anche ammettere che leggere i “classici” a me costa molta fatica.

La storia è molto semplice (che non vuol dire banale), è il racconto dalla voce di una ragazzina di 8 anni, Scout, della vita quotidiana in una cittadina dell’Alabama nel 1935. Una cittadina tranquilla, fino quando a scuoterla non è un delitto: una ragazza bianca viene violentata da un giovane nero. In realtà non si sa se siano proprio andati così i fatti, ma Scout è la figlia dell’avvocato difensore e segue, potremmo quasi dire vive, il processo da un punto di vista privilegiato.

Sicuramente dobbiamo inquadrare il romanzo nel tempo in cui è scritto, e soprattutto tenere conto che è ambientato nel 1935, quando i neri non potevano assolutamente mescolarsi ai bianchi e men che meno avrebbero mai potuto legarsi a donne bianche, un mondo in cui le donne non sono molto considerate. Siamo poi in Alabama, dove gli schiavi di colore erano equiparati a bestie da lavoro e dove il fatto che il Nord avesse fatto di tutto per portarli alla libertà era visto come un tradimento verso i bianchi. La first lady è Eleanor Roosevelt e non era ben vista in Alabama, proprio per le sue idee a favore dei diritti civili di tutti.

Scout è una ragazzina dotata di un grande spirito di osservazione e curiosità. Non accetta le cose così come le vengono dette, cerca sempre di capire il perché. In una cittadina dove i pettegolezzi e i pregiudizi la fanno da padrone è sicuramente una nota diversa. Per lei il suo papà. Atticus Finch, è un eroe e il fratello Jem è un modello da seguire. È cresciuta nella libertà di pensiero e di atteggiamento e ha un grande senso della giustizia. Ha un legame molto forte con Calpurnia, la loro domestica di colore. Per Scout non conta se sei bianco o nero, ricco o povero, per lei conta il rispetto. Tratta con gentilezza e rispetto tutti e si tiene lontana dagli attacca briga. Quando il padre è chiamato a difendere un ragazzo di colore si reca nell’aula di tribunale per ascoltare il padre. Proprio seguendo il processo si accorge che molte persone sono guidate dai pregiudizi e non prestano attenzione alla verità.

Un romanzo per ragazzi che racconta la società americana con parole adatte a degli adolescenti. Parla di razzismo e di violenza con semplicità senza diventare semplicistica. Parla di odio razziale, di differenza di classe, di libertà e del suo valore. Questo è un romanzo del 1960, ma io lo ho trovato molto attuale. Crediamo di essere migliori, di aver superato quelle idee, ci riempiamo la bocca di integrazione e libertà, usiamo molto la parla democrazia e uguaglianza tra uomini, ma leggendolo ho ritrovato molti dei ragionamenti che ancora oggi si leggono o si sentono.

Ho apprezzato molto come l’autrice ha parlato di odio e di schiavitù, di violenza e di razzismo, il racconto è senza veli, ma delicato, capace di arrivare dritto alla coscienza del lettore.

Sinceramente mi aspettavo qualcosa di più coinvolgente. È sicuramente un romanzo che mi ha fatto pensare e ha fatto nascere in me tante riflessioni, ma non mi ha coinvolta. Alcuni capitoli infatti li ho un po’ sofferti trovandoli particolarmente lenti, mi sembrava che la storia non procedesse. C’è da dire che sono riuscita benissimo ad immaginarmi l’atmosfera di questa tranquilla cittadina del Sud.

Sono contenta di averlo letto e sì, sono convinta che tutti i ragazzi dovrebbero leggerlo.






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