Recensione: Il tempo di tornare a casa di Matteo Bussola

Autore: Matteo Bussola

Titolo: Il tempo di tornare a casa

Editore: Einaudi

Data di pubblicazione: 23 novembre 2021

Pagine: 184

«Vivere, in fondo, non è che una serie di storie che si chiudono e si aprono, un continuo stringere la presa e lasciar andare. Una catena infinita di incontri e di addii». Quante esistenze attraversano una stazione affollata. Dietro i volti delle persone in fila all’edicola o al bancone del bar si nasconde un groviglio di desideri e paure, di dolori e speranze. C’è una donna che non deve partire, eppure resta seduta lì, le borse della spesa ai piedi. C’è un padre che ha smarrito il figlio e un uomo che sta per separarsi dalla donna della sua vita. C’è un marito che vede un enorme coniglio accanto a sua moglie ogni volta che la guarda, una ragazza che riceve messaggi inattesi, un ragazzo che ha preso una decisione irreversibile. C’è il mistero indecifrabile di ogni incontro capace di farci cambiare strada e il terrore dell’abbandono sempre dietro l’angolo. Poi c’è uno scrittore con un buffo berretto giallo che si aggira fra i binari dopo aver perso il treno ed è impaziente di salire sul prossimo. Perché sa che alla fine del viaggio troverà la sua famiglia ad aspettarlo. Perché «l’amore ha sempre, sempre a che fare con qualcuno in grado di riportarti a casa». Con la sua voce inconfondibile, Matteo Bussola racconta il nostro ostinato bisogno degli altri, malgrado la possibilità di ferirsi, di tradirsi, malgrado le accuse o i rimpianti. Il suo è un inno al potere salvifico delle storie, grazie alle quali ci sentiamo tutti meno soli.



… quante cose diamo per scontate nella nostra vita.

 

Le stazioni sono dei posti affascinanti! Sono luoghi di attesa, di inizio o di fine, di speranze o di delusioni, di aspettative o di illusioni che crollano o ci crollano addosso.

Mi piacciono le stazioni, ci vedo sempre tanto e come l’autore, Matteo Bussola, mi piace osservare le persone. A volte mi perdo a immaginare ciò che loro stanno passando o quello che forse stanno per fare nella loro giornata. Mi muovo sempre con lentezza nelle stazioni, per non perdermi niente, per immergermi in storie che magari sono solo nella mia testa… Questo romanzo mi ha fatto rivivere questi momenti in stazione e, se possibile, mi ha fatto innamorare ancora di più di questo luogo.

Ho letto questo libro in modalità diversa. Avevo l’e-book sul quale seguivo le parole, che però ascoltavo lette dall’autore per Audible. Credo che seguire la lettura in questo modo, cullata dalla voce dell’autore, mi abbia permesso di “sentire” meglio tutte le emozioni delle persone raccontate. C’è da dire che alcuni brani hanno riverberato in me in modo fortissimo, molto vicini al mio momento attuale. Quando un libro riesce a toccarmi così, mi sento “squassata”, percorsa da emozioni che so perdureranno nel tempo.

È sicuramente un libro bello, emozionante, coinvolgente… ma mi è arrivato bello tosto. Non sono pentita di aver scelto questa lettura, ma ammetto che è dura da mandare giù.

Avevo visto che non era più lungo di 200 pagine (sì, una delle prime cose che faccio è guardare di quante pagine è composto il libro che mi accingo a leggere) e mi sono detta… dai lo leggo in un attimo… e poi sì, è pure su Audible, sarà una passeggiata!

Non.è.andata.così.

Ogni tre o quattro capitoli ho dovuto fermarmi. Avevo quasi paura di scoprire altro. Sentivo pugnalate nel cuore, alle spalle e allo stomaco… Credo sia uno dei libri che mi abbia più ferito negli ultimi tempi. Ma ammetto che si tratta di un racconto stupendo che parla d’amore in modo stupendo (la ripetizione ci sta tutta, rende l’idea).

 

“Amarsi è una gran fatica”

 

È il primo romanzo di questo autore che leggo e ne sono molto soddisfatta.

Mi è piaciuto molto il suo “sguardo” discreto, ma attento, nel raccontare le storie dei suoi personaggi, persone che forse fanno parte della nostra vita di tutti i giorni, persone che magari abbiamo incontrato e non riconosciuto, persone che forse siamo anche un po’ noi stessi. Ho adorato poi gli intrecci, con la scelta azzeccatissima del luogo. Del resto la stazione non è proprio un luogo in cui le storie si toccano, si intrecciano, si spezzano, ricominciano più in là o semplicemente finiscono. Le storie sono come fili di lana che riescono a tessere una tela meravigliosa, la stazione è il giusto telaio.

Non so scegliere quale storia ho amato di più, ma ho accolto ognuna come un dono, un presente, e non riesco a esprimere del tutto quanto avessi bisogno di questo piccolo scrigno di perle. Sicuramente ho provato tenerezza per LaMarta, la signora che apre il romanzo con la sua attesa… a volte mi sento anche io come lei: inesistente. Ho sorriso con Simone e la sua camicia bianca, che fortunatamente rimarrà bianca per ancora un altro giorno. Ho provato dolore nel leggere di Davide e della sua voglia di ribellione, ribellione da qualcosa che forse ancora non capisce e che noi adulti invece rischiamo di far diventare qualcosa di troppo rigido, quasi una prigione.

 

Voglio terminare con le battute finali del libro, perché credo non ci possa essere chiosa migliore.

 

Ecco a cosa servono le storie, più di tutto il resto.

A dare un senso alle nostre attese. A farci capire che c’è sempre un treno da prendere, nonostante tutto.

A farci sentire che siamo ancora in tempo.

 


Con questa lettura entro nel Ciambelle’s Manor della challenge Escape Ciambelle. Chi ne uscirà vivo? di Laura (La Libridinosa), di Laura (La Biblioteca di Eliza) e di Bacci (Due lettrici quasiperfette). Per questa prima prova ho scelto la lettura condivisa con le mie “compagne di stanza”, ci siamo trovate in cinque in sala da pranzo e abbiamo trovato un titolo che potesse andare bene per tutte. 



Commenti