Recensione: Il re dei giochi di Marco Malvaldi
Autore: Marco Malvaldi
Titolo: Il re dei giochi
Editore: Sellerio editore Palermo
Data di pubblicazione: 17 giugno 2010
Pagine: 192
Ritornano i quattro vecchietti detective del
BarLume di Pineta, con il nipote Massimo il "barrista" e la brava
banconista Tiziana. Dopo "La briscola in cinque" e "Il gioco
delle tre carte", con "Il re dei giochi" si può dire che ora
siamo alla serie, sia per la caratterizzazione ben sagomata e viva di ciascun
personaggio che lo rende familiare, sia per il brio naturale con cui, come un
meccanismo ben avviato, funziona l'eccentrico amalgama che struttura le storie.
"Re dei giochi" è il biliardo nuovo all'italiana giunto al BarLume.
Ampelio il nonno, Aldo l'intellettuale, il Rimediotti pensionato di destra e il
Del Tacca del Comune (per distinguerlo da altri tre Del Tacca) vi si sono
accampati e da lì sezionano con geometrica esattezza gli ultimi fatti di
Pineta. Tra cui il terribile incidente della statale. È morto un ragazzino e
sua madre è in coma profondo. Sono gli eredi di un ricchissimo costruttore. La
madre è anche la segretaria di un uomo politico impegnato nella campagna
elettorale. Non sembra un delitto. Manca il movente e pure l'occasione.
"Anche quest'anno sembrava d'aver trovato un bell'omicidio per passare il
tempo e loro vengono a rovinarti tutto". Ma la donna muore in ospedale,
uccisa in modo maldestro. E sulle iperboliche ma sapienti maldicenze dei
quattro ottuagenari cala, come una mente ordinatrice, l'intuizione logica del
"barrista", investigatore per amor di pace.
Sto recuperando piano piano tutti i romanzi del BarLume. Ormai mi sono appassionata a questa serie, soprattutto per via dei vecchietti (nonno Ampelio in testa) e per Massimo il “barrista”. Ormai, quando ho voglia di un giallo che sappia divertirti nel vero senso della parola, so che posso contare su Malvaldi e sulla combriccola del BarLume. Questo è il terzo appuntamento, è un romanzo autoconclusivo e, a parte un lievissimo accenno al fatto che “prima” è successo qualcosa, è completamente indipendente dagli altri.
Ho deciso qualche tempo fa, dopo aver
incontrato per la prima volta Malvaldi ad una presentazione, di leggerlo; mi
incuriosiva perché ero rimasta affascinata dalla sua eloquenza e dalla sua
simpatia (il fascino della parlata toscana), così uno per uno sto recuperando
tutta la serie. Quando leggo questi romanzi, comincio a ridere dalla primissima
riga e continuo per tutto il libro. Il divertimento nasce dai battibecchi tra i
vecchietti e Massimo, dai guai in cui Massimo si ritrova suo malgrado, ma anche
da Massimo e dal suo fascino particolare. Fascino dovuto sia al suo modo
“spiccio” di trattare le persone, sia dal fatto che riesce a infilare discorsi
di matematica per spiegare le cose ai vecchietti. Sentir parlare Massimo di
matematica è bellissimo, perché la spiega in modo semplice e divertente, ma al
contempo preciso. In questo romanzo c’è una bellissima spiegazione sulla teoria
della probabilità, con tanto di riferimento a Pascal e Fermat.
Non è solo il fatto che si parli di
matematica in tutto il romanzo il motivo per cui questa storia mi è piaciuta…
Ci sono anche altri motivi.
Il delitto, che è il centro di questo libro, ha
a che fare da un fatto politico: a Pineta
vengono indette delle elezioni suppletive e quindi ci sono tre candidati che si
presentano. È bello vedere come tutte le varie fazioni, che poi si ritrovano
nei discorsi dei vecchietti, vengono presentate, la par condicio è ben
rappresentata e rispettata. Il delitto, che viene a mettere un po’ di pepe nella
vita dei vecchietti, è solo un pretesto per presentare quella che è la
quotidianità al BarLume, fatta di nonno Ampelio e dei suoi amici Pelide, Aldo e
Rimediotti. Una normalità costituita dai litigi verbali con Massimo, dalle
partite al biliardo e dalle conversazioni da tuttologi nate leggendo gli
articoli del giornale. Pineta sarebbe un paesino tranquillo del pisano e quindi,
in teoria, non dovrebbe capitare nulla, eppure capitano tutte lì. Inoltre, per
un motivo o per un altro, ci rimane invischiato Massimo, che poi deve fare i
conti con il commissario Fusco. In questa vicenda Massimo ha un gran daffare nel
tenere a freno i vecchietti che chiacchierano, mettono in giro pettegolezzi
peggio delle comari, vanno al commissariato a dire le loro idee… e il commissario
poi se la prende con il nostro Massimo. Però non sempre i vecchietti parlano a
caso o meglio ne tirano giù di ogni, ma ogni tanto ci prendono. Sono quelle
piccole pillole di saggezza, di veridicità lasciate qua e là che fanno sì che
poi Massimo inizi a ripensare e a rimettere insieme, con ordine logico e deduttivo,
i vari eventi per arrivare alla risoluzione del caso.
In questo romanzo c’è anche una parte che
riguarda il rapporto con la religione e chiaramente da un matematico non ci si
poteva aspettare altro che Massimo fosse ateo. Eppure la morale di Massimo è
fenomenale, limpida e genuina, tanto da arrivare a perdonare l’assassino,
perché Massimo ha ravvisato in quell’atto la pietà e l’amore (e non posso dire
di chi, perché altrimenti dico il colpevole e sarebbe fuori luogo…).
Come ho già detto, mi piace molto il
linguaggio che usa Malvaldi, un miscuglio di italiano corretto, correttissimo
con tanto di congiuntivi, e dialetto toscano. Ora, io ho parenti nel pisano e
quindi, mentre leggo, sento le voci dei miei zii e dei miei cugini, tanto che a
volte in Nonno Antonio mi sembra di vedere e di sentire zio Gabriele!
Nei romanzi del BarLume apprezzo sempre il
fatto che, nel parlare della quotidianità, Malvaldi ci infili anche cose di un
certo spessore, come la conoscenza della Bibbia, una conoscenza precisa e
dettagliata, oppure la teorizzazione della matematica e tutto questo è fatto
con leggerezza.
Ti appassiona e alla fine non riesci a
staccarti, perché ti piacciono le congetture, perché gli indizi lasciati qua e
là ti invogliano ad andare avanti e quindi tu leggi leggi leggi … e finisci il
libro in un attimo.
L’ho già detto tante volte, adoro Marco
Malvaldi, lo adoro come scrittore, lo adoro come matematico, mi piacciono
tantissimo le sue presentazioni. Ogni anno leggo un libro in più di questa
serie, sono arrivata al terzo e ora ho già pronto il quarto. Non vedo l’ora che
arrivi dicembre, perché voglio collezionare un’altra bella dedica. Su questo terzo
romanzo del BarLume, in particolare, avevo delle curiosità in più, non parlo di
aspettative perché sapevo già che mi sarebbe piaciuto, ma avevo delle curiosità,
perché avevo avuto modo di vedere la prima puntata della serie televisiva I delitti del barlume e dai titoli avevo
notato che era liberamente tratto proprio da questo volume, che io ancora non
avevo letto. Ho quindi visto il primo episodio della serie con leggerezza,
sperando di ritrovare nonno Ampelio, Massimo e tutti gli altri. Ora, niente da
dire sulla bravura degli attori, perché effettivamente sono bravi, ma avevo
trovato tante discrepanze con quelle che erano le mie conoscenze derivate dalla
lettura dei precedenti due capitoli, quindi avevo iniziato a storcere un po’ il
naso. Ora che ho letto il romanzo, effettivamente le differenze sono tante,
cioè l’idea di base è quella presentata nel libro, ma poi la rivisitazione
cinematografica è tutt’altro e devo dire che, se li guardiamo come due prodotti
differenti, anche la versione televisiva è carina. Ho visto anche altre puntate
di questa serie, perché mi ci sono imbattuta per caso durante il mio zapping
frenetico, ma non mi hanno veramente molto convinto, sono carine ma molto
distanti dalla leggerezza e dalla freschezza che sono invece le caratteristiche
delle avventure scritte.
Quindi, ancora una volta, non mi sento di far
altro che consigliare questo “gioiellino”.
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