Recensione #47: L’anno in cui imparai a leggere di Marco Marsullo
Autore: Marco Marsullo
Titolo: L’anno in cui imparai a leggere
Editore: Einaudi
Data di pubblicazione: 22 ottobre 2019
Pagine: 280
Niccolò ha venticinque anni ed è
innamorato perso di Simona. Così quando lei, bella e inquieta, parte
mollandogli suo figlio Lorenzo, lui decide di prendersene cura, sebbene quel
moccioso di quattro anni non lo abbia mai accettato e di notte lo sbattesse
puntualmente fuori dal letto. Niccolò non ha mai fatto il padre e non sa come
gestire capricci, routine, amichetti che giocano a fingersi d'improvviso morti
e primi batticuori. In più, a complicare le cose, ci si mette anche il padre
naturale. Riccioli scompigliati e chitarra in spalla, è arrivato dall'Argentina
per incontrare il piccolo e si è installato in casa senza alcuna intenzione di
andarsene. Innamorati della stessa donna, lui e Niccolò si detestano e il
bambino non riconosce un ruolo a nessuno dei due. Eppure, giorno dopo giorno,
tra litigi e partite a pallone, pigiama party e impreviste abitudini, questi
tre «ragazzi» abbandonati imparano ad appoggiarsi l'uno all'altro, per
sorreggersi insieme contro il mondo.
e anche la lode |
L’anno in cui imparai a leggere è un libro d’amore.
Non sto scherzando... parla di tre uomini, sì, ma è carico d’amore dalla prima
all’ultima riga.
Eravamo noi tre, semplicemente.
E potrei finire qui
la mia recensione. Perché questo libro è meraviglioso e tutto quello che io scriverò
sarà superfluo. Non posso che dire: dovete leggerlo!
Come si fa a mettere
per iscritto le emozioni che hai provato leggendo la lotta calcistica tra
Milan, Napoli e Boca Juniors, la gioia della scoperta della scrittura,
l’atmosfera del Natale in una tradizione familiare, il dolore di sapere che
quel bimbetto di quattro anni che è ormai parte di te in realtà non è tuo...
Chiaro come il sole:
non posso descriverlo, posso solo mettervi un po’ di curiosità, farvi
assaporare una storia che va a toccare tutte le corde emotive di una persona.
È una storia di amore
al maschile, ma parla perfettamente al cuore di una donna.
Io ho amato Lorenzo
alla follia, un bambino di quattro anni. No, non sono pazza. Lorenzo è un
normalissimo bambino di quattro anni, curioso, capriccioso, vivace e
osservatore (come tutti i bambini). Non ha doti particolari, è un bimbo che
vive il suo mondo, un mondo che lo porta a condividere spazi e giorni con due
uomini, per certi versi estranei a lui e per altri l’unica famiglia che ha.
Ho ammirato Niccolò,
che pur pieno di paure e dubbi non esita, per amore (di Lorenzo più che di
Simona), a prendersi cura di un figlio non suo.
Ho odiato Andrés.
Irresponsabile, casinaro (passatemi il termine perché rende l’idea), però con
un cuore gentile. Va bene, migliora con il passare del tempo, ma io non l’ho
sopportato molto.
Lui era così: né bene, né male. Condanna e assoluzione. Ogni
gesto che regalava al mondo sottintendeva un tornaconto.
E poi c’è Peppino.
No, va beh...qui taccio. Peppino va conosciuto.
Allerta spoiler: se
non avete letto il libro, per favore NON EVIDENZIATE la frase perché contiene
uno spoiler enorme.
Già
a metà libro si capisce che l’amore tra Niccolò e Simona non durerà; lo stesso
Niccolò analizza con lucida freddezza che il loro amore appena nato non è
sopravvissuto alla lontananza forzata. Quindi, bene o male, te lo aspetti che
alla fine lui non faccia più parte della “famiglia” di Lorenzo. Ma io fino
all’ultimo ho sperato che Simona non tornasse a casa. Non volevo un lieto fine
tra i due, volevo un lieto fine fra i tre uomini di questa storia, perché al
termine del romanzo anche Andrés ha il suo perché. E benché io gli starei molto
lontana, in fondo è una parte importante del mondo di Lorenzo, il quale arriva
a dire, con l’innocenza tipica dei bambini:
- Io ho due papà, - chiuse la cartella e se la mise in spalla. –
Uno che viene dall’Argentina e uno dall’Italia.
È da questa frase che
Marsullo ha iniziato a minare le fondamenta del mio cuore. È qui, con la frase
di Lorenzo, che piano piano il mio cuore è andato in pezzi. Non ho pianto come
tante altre mie amiche, ma, santa pace, sto ancora male!
L’anno in cui imparai a leggere è un libro che parla
di famiglia. Una famiglia strana, composta da tre uomini, ma credo non ci sia
modo migliore di parlare di quel legame profondo. Non sono la famiglia
tradizionale, ma hanno legami forti. Si sono trovati insieme per caso, eppure
quei tre sono più famiglia di tante altre.
E, insieme con
Niccolò, non mi resta che dire, sussurrato all’orecchio di Marco: Grazie. Sì,
grazie per questa storia bellissima.
Mi piace molto andare
alle presentazioni dei libri che ho letto e amato o che ho intenzione di
leggere, quindi il 19 novembre sono andata alla Feltrinelli di Roma, alla
Galleria Sordi, per incontrare Marco Marsullo, il quale presentava
il suo libro che ero intenzionata a leggere.
In corsivo blu le parole di Marco Marsullo
Marco ha aperto la
presentazione leggendo un brano del romanzo (Cap. 17 pag. 163-165), per
portarci subito nell’atmosfera della storia. Un brano molto divertente, il
racconto della vigilia di Natale in casa di Peppino, l’amico di Lorenzo.
Francesco Piccolo ha presentato la trama in modo molto
informale, raccontando che il romanzo prende l’avvio proprio da una
presentazione come quella cui stavamo partecipando, perché Niccolò è uno
scrittore di successo che sta promuovendo il proprio libro e proprio quell’occasione
fu il punto di contatto tra Simona e Niccolò. Il romanzo racconta la vita, ma la presenta come
un impedimento alla scrittura.
Marco è intervenuto in modo vivace, emozionato, ma semplice
per completare il pensiero espresso da Francesco Piccolo. Quando
la vita si frappone alla scrittura, tutto diventa complicato. La vita è
necessaria per scrivere, anche se nell’immaginario, se scrivi, non fai
nient’altro.
Niccolò
si ritrova con un figlio non suo e questo lo porta difronte a tante difficoltà
con una paternità non scelta. Parlando con le persone, ti accorgi che la vita
si divide in persone che non hanno mai incontrato bambini e chi ha incontrato i
bambini.
Da qui Marco ha parlato
dei bambini e della sua vita con i bambini. Raccontando il libro, è uscita
fuori anche l’esperienza personale di Marco. Si è dedotto che
Marco ama profondamente lavorare con i bambini e si sono potute apprezzare le parole
meravigliose che egli utilizza per descrivere la relazione con questi piccoli
umani (ora, dopo aver letto il libro, posso dire che la profonda conoscenza del
mondo dei bambini viene fuori anche nella narrazione di questa storia).
Marco ha parlato del
romanzo anche come il racconto di crescita di un uomo che si prende delle
responsabilità: Niccolò, incontrando Lorenzo, scopre quanto lui stesso desideri
un figlio. Egli ha poi descritto anche Andrés, l’ispanoablante: Gli argentini sono i napoletani al cubo. Per parlare di
Andrés, l’autore ha raccontato qualche aneddoto personale del suo viaggio in
Argentina.
Francesco ha messo in
luce quanto nei romanzi di Marco sia importante il tema della famiglia.
Le famiglie sono una
trappola a cui nessuno di noi può rinunciare.
Le famiglie si
distruggono, spaccano le vite a metà, si ricostituiscono. Si autogenerano senza
che ce ne accorgiamo, sono un sistema istintivo di sopravvivenza (Cap. 8 pag.
99).
Marco: La
famiglia è quasi una gabbia. Anche se ci sono problemi, c’è sempre qualcosa che
tiene insieme.
Francesco ha posto
però l’accento sulla figura di Lorenzo e ha portato Marco a parlare di questo
bambino.
Un figlio è figlio di chi se lo cresce. Famiglia è
qualsiasi centro fonte d’amore che ruota intorno ai bambini. Lorenzo è un
bambino che sa capire ciò che ha intorno perché è capace di osservare. I
bambini hanno una grande capacità di osservazione.
Marco ha fornito
anche una chiave di lettura per quello che riguarda la figura di Simona
(comunque, a me Simona sta antipatica e, benché capisca cosa lei
cerchi, io
non la sopporto). Simona lotta per la sopravvivenza.
Il ruolo della donna non si esaurisce con la maternità, Simona non vuole che
Lorenzo sia per lei un peso.
Spero
vivamente di avervi invogliato a leggere questo bellissimo romanzo. Ringrazio
Laura (La Libridinosa) per avermi caldamente
invitato a leggere questo libro. Inoltre ricordo a Marco che deve alla zia
Libbbri un po’ di sfogliatelle e che, mentre firmava la mia copia, prometteva
solennemente di portargliele di persona.
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