Recensione #10: Colpa delle stelle di John Green
Autore: John Green
Titolo: Colpa delle stelle
Editore: Rizzoli
Data di pubblicazione: 10 ottobre 2012
Pagine: 356
Hazel ha sedici anni, ma ha già alle spalle un vero miracolo:
grazie a un farmaco sperimentale, la malattia che anni prima le hanno diagnosticato
è ora in regressione. Ha però anche imparato che i miracoli si pagano: mentre
lei rimbalzava tra corse in ospedale e lunghe degenze, il mondo correva veloce,
lasciandola indietro, sola e fuori sincrono rispetto alle sue coetanee, con una
vita in frantumi in cui i pezzi non si incastrano più. Un giorno però il
destino le fa incontrare Augustus, affascinante compagno di sventure che la
travolge con la sua fame di vita, di passioni, di risate e le dimostra che il
mondo non si è fermato, insieme possono riacciuffarlo. Ma come un peccato
originale, come una colpa scritta nelle stelle avverse sotto cui Hazel e
Augustus sono nati, il tempo che hanno a disposizione è un miracolo e in quanto
tale andrà pagato.
Attraverso le parole, i pensieri e i ricordi di Hazel Grace
Lancaster viviamo in questo romanzo la sua malattia e quella del suo amico
Augustus Waters. Questi due adolescenti devono fare i conti con qualcosa di più
grande di loro: la malattia. Non una malattia banale, ma una di quelle che ti
portano via la speranza: devono lottare con il tumore.
Hazel e Gus affrontano il male con un onesto disincanto. Sono
certi di dover morire, tanto che entrambi hanno già scelto il loro “abito da
morto”, Gus ha persino scelto dove vuole essere sepolto.
La malattia li ha fatti invecchiare prima del tempo, ma allo
stesso tempo sono bambini poco cresciuti. Hazel ha trovato conforto nel romanzo
di Peter Van Houten, lo reputa il suo punto di riferimento, come se fosse pieno
di quelle risposte che non trova da nessuna parte. Hazel trova questa storia un
libro onesto che parla del cancro, è un romanzo realista e amaro, che termina a
metà di una frase, quasi fosse incompiuto.
«È quello che mi piace del libro.
Ritrae la morte in modo sincero. È così che si muore, nel mezzo della vita, nel
mezzo di una frase.»
Siccome Hazel vuole conoscere il finale, fa di tutto per
incontrare l’autore. In questo l’aiuta Gus, ma conoscere l’autore è una
delusione totale. Le speranze così flebili di Hazel di trovare conforto
vengono completamente distrutte.
«Quel
ragazzo è stato composto incidendo graffi sulla pagina, mia cara. I personaggi
che lo abitano non hanno una vita al di fuori di quei graffi. Che cosa è successo loro? Hanno tutti cessato di
esistere nel momento in cui il romanzo è finito.»
«No» ho detto. Mi sono alzata dal divano. «No, lo capisco, questo, ma è impossibile non
immaginare quel futuro.»
È un romanzo triste, così vero che fa male. Ti si stringe il cuore.
Rappresenta il tumore con una “crudezza” unica. È molto reale e ti fa entrare
(per quanto possibile perché, se sei sano, non puoi
capire) nella realtà di un giovane malato. Un ragazzo che sa di avere i tempi
contati e che sa di essere una “granata” per tutti coloro che gli sono vicini.
Attorno a questi due ragazzi ruotano tante figure, dai medici ai
familiari. Vengono tutti descritti nelle loro manifestazioni verso i malati.
Tranne Isaac. Isaac è un altro ragazzo malato, ha perso la vista a causa del
tumore. Anche lui ormai è disincantato. Anche lui prende la sua vita così come
viene.
Il romanzo è ben scritto, scorrevole, con un linguaggio
semplice. Molto aderente alla realtà ed attuale. È scritto in prima persona,
proprio perché sono dei ricordi… i ricordi di Hazel e dei suoi giorni felici
con Gus.
Sinceramente sono rimasta un po’ delusa. Mi aspettavo forse
qualcosa di più, soprattutto visto il clamore mediatico che il libro e il film
hanno suscitato.
È sicuramente un bel libro. Dovrebbero leggerlo tanto i ragazzi
quanto gli adulti. È una bella storia, anche se molto triste e dolorosa.
Le immagini sono fan art prese da Pinterest
Sono contenta che ti è piaciuto, è stato uno miei primi YA e lo avevo apprezzato moltissimo :)
RispondiEliminasì, è un bel libro, ma non mi ha pienamente coinvolto. Forse il mio sbaglio è stato quello di aver visto prima il film (per altro fatto benissimo)
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